“Penso e ripenso” – la differenza tra rimuginio e ruminazione


Rimuginio

Tutti abbiamo esperienza diretta di rimuginio e ruminazione, due stili di pensiero ciclici e ripetitivi che possono risultare d’intralcio, talvolta, nel vivere serenamente la nostra quotidianità.

Il rimuginio può essere definito come uno stile di pensiero negativo e ripetitivo orientato al futuro, che negli ultimi decenni ha mostrato, attraverso le ricerche scientifiche, di avere un impatto fondamentale nel mantenimento di molti disturbi psicologici.

Inoltre, il rimuginio è considerato una delle componenti principali dell’ansia, in particolare del disturbo d’ansia generalizzata, in cui il soggetto ripete mentalmente a sé stesso che gli eventi andranno male o che qualcosa di spiacevole potrebbe capitare da un momento all’altro.

Il rimuginio cattura la nostra attenzione e richiede molte risorse mentali, oltre a mantenere salienti informazioni e contenuti spiacevoli. In tal senso, questa modalità di pensiero impedisce di dimenticare, di “andare oltre” un pensiero spiacevole o catastrofico.

Il rimuginio viene messo in atto dal soggetto nel tenativo di fronteggiare o attenuare l’ansia che riguarda situazioni percepite come pericolose e/o incerte. Rimuginare per molte ore sulla situazione temuta, dunque, fornisce al soggetto l’illusione di prevenirla e controllarla.

Chi rimugina molto, teme sempre che il peggio avverarsi, non riesce a valutare scenari alternativi e crede che il rimuginio, continuo ed estenuante, possa condurlo alla soluzione del problema. A lungo termine, al contrario, chi rimugina si percepisce debole, fragile, insicuro, spaventato e costantemente soggiogato dalla pericolosità del futuro, poichè questa modalità di pensiero, se non trattata adeguatamente in un percorso di psicoterapia, tende a cronicizzarsi e a diventare concausa importante di malessere psicologico.

Ruminazione

Vi è una modalità molto comune, con cui cerchiamo di elaborare, volontariamente, l’emozione o il ricordo di una situazione attivante e questa è la ruminazione (Wells e Matthews, 1996) ossia il pensare in modo ricorsivo all’evento che ha generato l’emozione disturbante, alle cause e alle conseguenze. La ruminazione è una forma circolare di pensiero persistente, passivo, ripetitivo, legato spesso ai sintomi della depressione (Nolen-Hoeksema, 1991).

Tale forma di pensiero, al contrario del rimuginio, è rivolta al passato ed è legato alla “perdita” di qualcosa di importante. La ruminazione, quindi, si attiva come tentativo di controllo dell’emozione negativa, tuttavia, tale processo nel tempo aggrava l’intensità dello stato d’animo, induce un maggiore abbassamento dell’umore, nonchè una distorsione della percezione di sè stessi e dell’ambiente circostante (Wells, 2009).

La ruminazione è simile al rimuginio, ma non combacia con esso.

Nonostante aspetti comuni, il rimuginio risulta orientato a prefigurare pericoli futuri, mentre la ruminazione appare maggiormente duratura e orientata ad analizzare e comprendere le cause del proprio malessere (Papageorgiou e Wells, 2004; Watkins, Moulds e McIntosh, 2005). Mentre la ruminazione ha ricevuto grande attenzione dalla ricerca nello studio della depressione (Just, Alloy, 1997; Nolen-Hoeksema,  Morrow, Fredrickson, 1993) è stato studiato meno approfonditamente nel contesto dei disturbi d’ansia. Alcuni studi riportano che anche la ruminazione è prospetticamente associata con alti livelli di ansia (Nolen-Hoeksema, 2000) e di ansia sociale (Kocovski, Endler, Rector, Flett, 2005). La ruminazione, inoltre, sembra essere collegata al perfezionismo e parrebbe mediare la relazione tra perfezionismo e umore disforico (Harris, Pepper,  Maack, 2008).

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